Wilco hell's angels
live al Mazda Palace, Milano, 6 settembre
2005
Jeff
Tweedy, cantante, chitarrista e "angelo dell'inferno" dei
Wilco, non sembra decisamente il ragazzo della porta accanto. Ti guarda
di sbieco se non gli sembri abbastanza devota mentre attinge ai suoi
toni più ammalianti per l'esordio religioso di Hell is Chrome.
Raccontando di come il diavolo è venuto a prenderlo in color
cromo come nei vecchi blues, ci mette davvero poco a spezzarti
il cuore. Conclusione: per Tweedy vendere l'anima deve essere una
faccenda persino piacevole.
Di fronte a non so quante persone (comunque tante) accorse al Mazda
Palace in un concerto gratuito per la Festa dell'Unità, i Wilco
sono sbarcati in Italia per la seconda volta in un anno e qualcuno
già giura che questo è il concerto del 2005. Nelle code
sbieche, inquietanti e caotiche che spuntano da canzoni pop simili
a perle di vetro, Wilco mostrano come il minaccioso futuro possa essere
inquadrato in una visione di ordine superiore. La loro è un'emotività
controllata e compatta in cui qualsiasi colpo di testa arriva dentro
i binari di un'estrema lucidità. Come il drone psichedelico
di gemiti di chitarra e campanelli che mette in moto I'm Trying
to Break Your Heart. Tweedy serve, in pratica, da orologio di
precisione mentre Nels Cline alla chitarra solista e, poi, alla lap
steel, condisce piatti di feedback prelibato, incursioni
nell'immaginario del Dylan country e sostituisce l'intera sezione
d'archi nella brillante Hummingbird. L'altro pezzo da novanta,
Glen Kotche dietro le pelli, ammalia per la sua versatilità,
dalla caduta massi di Spiders alle ricercatezze di Misunderstood.
Nel frattempo Jeff annuncia di aver finito la digestione, ci invita
a strilli prolungati con tutto il fiato che abbiamo in corpo per punizione,
infine battezza il concerto con il diavolo finalmente in corpo nella
sfrenata I'm a Wheel. Fa Dylan meglio di Dylan in un'impertinente
versione di Airline to Heaven (su testo, guarda caso, del padrino
Woody Guthrie) e tanto per chiarire conclude con una cover di I
Shall be Released. Ma non vorremmo che si liberasse troppo: con
la gente che gira, Tweedy potrebbe diventare davvero il più
grande della decade. Nel caso, basterebbe un biglietto di sola andata
per il paradiso...perduto.
Milena Ferrante © Licence to Confuse, 2005
...la scaletta
del concerto dei Wilco alla Festa dell'Unità
(courtesy of Jeskat)
Per la scaletta autografata vai qui
...
e
qui per una galleria
di foto
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Wilco
in lotta con i fantasmi
Immagini
dal Mazda Palace, 6 settembre 2005
Ognuno
di noi lotta contro i suoi fantasmi. Gli artisti forse non sono altro
che uomini che per questa battaglia si affidano al proprio talento,
e non è detto che questo sia - come vorrebbe un luogo comune
- un dono. Pensate a cosa possa voler dire incanalare in una canzone
il proprio male di vivere, o tutto il dolore di un momento, e trovarsi
poi a doverla suonare decine, centinaia di volte, in posti diversi,
davanti a sconosciuti che ignorano quello che essa significa per te
o magari credono di saperlo, o peggio ancora la fanno propria.
Mi è venuto di pensare questo mentre guardavo Jeff Tweedy alle
prese con Hell is Chrome, dalla mia fortunatissima posizione
in prima fila a pochi centimetri da lui. Lho guardato dritto
negli occhi e vi ho trovato un misto di irritazione e indolenza, e
ho anche pensato con un certo sgomento che ci odiasse
tutti quanti. Per i primi cinque o sei brani del concerto era lì,
vicinissimo come mai avrei sperato e lontanissimo come mai avrei immaginato.
Poi qualcosa è cambiato. Sarà stata la fine della digestione
(come ci ha confidato al microfono), o forse il constatare che aveva
di fronte un pubblico coinvolto ed entusiasta, o magari sarà
stato che già a quel punto della serata latmosfera dentro
il Mazda Palace avrebbe risuscitato anche un morto, fatto sta che
da un certo momento in poi la serata ha preso unaltra piega.
Non tecnicamente: la perfomance è stata perfetta fin dalla
primissima nota. E cambiato il feeling tra lui (e quindi tutta
la band) e noi. I brani, uno dietro laltro, senza tempo di respirare,
tra mille cambi di strumenti, portano tutti in una dimensione di euforia
e inquietudine. At Least Thats What You Said ti fa pensare
di non aver mai ascoltato niente di più bello e perfetto, e
i (circa) dieci minuti di assolo finale sono insieme rapimento e liberazione.
Di seguito Hummingbird, struggente nella sua semplicità,
con Nels Cline che con la chitarra sostituisce i violini, trasformando
la malinconia degli archi in una porzione di poesia elettrica. Poi
Tweedy ci racconta sinteticamente proprio quellinferno e paradiso
che è il suo goddamn job, ci urla che Rocknroll
is part of the cure!! e ci costringe alla terapia, incitandoci
a urlare ripetutamente con tutto il fiato che abbiamo e cercando da
qualche parte dentro di noi il nostro microfono interiore. Ormai tra
band e pubblico il fluido chimico di musica ed emozione scorre generoso
in entrambi i sensi.
I Wilco ripescano anche dal loro passato, ma è netta la predominanza
in scaletta dei brani degli ultimi due album, forse perché
sono quelli incisi con la formazione che si esibisce stasera. La band
appare unitissima, in perfetta sintonia; va da sé che la personalità
di Tweedy si staglia su tutte, ma va anche detto che ogni componente
(ovviamente con gradi diversi) ha modo e spazio per affermare la propria
individualità, chi lanciandosi divertito in buffe movenze da
rockstar consumata (come il multi-strumentista Pat Sansone),
chi rubando letteralmente la scena a chiunque altro con performance
soliste che tolgono il fiato (come il jazz guitarist Nels Cline),
chi trascinando band e pubblico dietro di sé come lo strepitoso
Glen Kotche che sa accarezzare o percuotere la sua batteria come forse
nessun altro della sua generazione.
Un concerto dei Wilco (come e più dellascolto dei loro
album) è un continuo andare e venire dallinferno, con
incursioni in dimensioni estatiche, improvvisi tonfi nel nero più
nero e risalite psichedeliche verso la luce. Non cè spazio
per stati danimo flat, non cè
neutralità, non cè ombra di quieto vivere. Uno
show per palati fini e stomaci robusti, per anime e corpi insaziabili
che ne escono però con un piacevole senso di soddisfazione.
E con il rafforzamento di una convinzione: la musica è (sarà)
anche divertimento, impegno, protesta, terapia, piacere, comunicazione,
condivisione. Ma è soprattutto bellezza.
Chiara Giani © Licence
to Confuse, 2005
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