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Saturday October 15, 2005 18:50
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musica

CHORDS MADE OF GOLD: il primo libro dei Wilco in Italia

Questo spazio è dedicato interamente
ai fan italiani dei Wilco.
Visioni e note quando
c'è una ragione....state in contatto.

wilco_italia@yahoo.it

 

Wilco hell's angels…

live al Mazda Palace, Milano, 6 settembre 2005

Jeff Tweedy, cantante, chitarrista e "angelo dell'inferno" dei Wilco, non sembra decisamente il ragazzo della porta accanto. Ti guarda di sbieco se non gli sembri abbastanza devota mentre attinge ai suoi toni più ammalianti per l'esordio religioso di Hell is Chrome. Raccontando di come il diavolo è venuto a prenderlo in color cromo come nei vecchi blues, ci mette davvero poco a spezzarti il cuore. Conclusione: per Tweedy vendere l'anima deve essere una faccenda persino piacevole.
Di fronte a non so quante persone (comunque tante) accorse al Mazda Palace in un concerto gratuito per la Festa dell'Unità, i Wilco sono sbarcati in Italia per la seconda volta in un anno e qualcuno già giura che questo è il concerto del 2005. Nelle code sbieche, inquietanti e caotiche che spuntano da canzoni pop simili a perle di vetro, Wilco mostrano come il minaccioso futuro possa essere inquadrato in una visione di ordine superiore. La loro è un'emotività controllata e compatta in cui qualsiasi colpo di testa arriva dentro i binari di un'estrema lucidità. Come il drone psichedelico di gemiti di chitarra e campanelli che mette in moto I'm Trying to Break Your Heart. Tweedy serve, in pratica, da orologio di precisione mentre Nels Cline alla chitarra solista e, poi, alla lap steel, condisce piatti di feedback prelibato, incursioni nell'immaginario del Dylan country e sostituisce l'intera sezione d'archi nella brillante Hummingbird. L'altro pezzo da novanta, Glen Kotche dietro le pelli, ammalia per la sua versatilità, dalla caduta massi di Spiders alle ricercatezze di Misunderstood.
Nel frattempo Jeff annuncia di aver finito la digestione, ci invita a strilli prolungati con tutto il fiato che abbiamo in corpo per punizione, infine battezza il concerto con il diavolo finalmente in corpo nella sfrenata I'm a Wheel. Fa Dylan meglio di Dylan in un'impertinente versione di Airline to Heaven (su testo, guarda caso, del padrino Woody Guthrie) e tanto per chiarire conclude con una cover di I Shall be Released. Ma non vorremmo che si liberasse troppo: con la gente che gira, Tweedy potrebbe diventare davvero il più grande della decade. Nel caso, basterebbe un biglietto di sola andata per il paradiso...perduto.

Milena Ferrante © Licence to Confuse, 2005

 

...la scaletta del concerto dei Wilco alla Festa dell'Unità (courtesy of Jeskat)

 

 

Per la scaletta autografata vai qui ...

e qui per una galleria di foto

 

 

Wilco in lotta con i fantasmi

Immagini dal Mazda Palace, 6 settembre 2005

Ognuno di noi lotta contro i suoi fantasmi. Gli artisti forse non sono altro che uomini che per questa battaglia si affidano al proprio talento, e non è detto che questo sia - come vorrebbe un luogo comune - un dono. Pensate a cosa possa voler dire incanalare in una canzone il proprio male di vivere, o tutto il dolore di un momento, e trovarsi poi a doverla suonare decine, centinaia di volte, in posti diversi, davanti a sconosciuti che ignorano quello che essa significa per te o magari credono di saperlo, o peggio ancora la fanno propria.
Mi è venuto di pensare questo mentre guardavo Jeff Tweedy alle prese con Hell is Chrome, dalla mia fortunatissima posizione in prima fila a pochi centimetri da lui. L’ho guardato dritto negli occhi e vi ho trovato un misto di irritazione e indolenza, e ho anche pensato – con un certo sgomento – che ci odiasse tutti quanti. Per i primi cinque o sei brani del concerto era lì, vicinissimo come mai avrei sperato e lontanissimo come mai avrei immaginato. Poi qualcosa è cambiato. Sarà stata la fine della digestione (come ci ha confidato al microfono), o forse il constatare che aveva di fronte un pubblico coinvolto ed entusiasta, o magari sarà stato che già a quel punto della serata l’atmosfera dentro il Mazda Palace avrebbe risuscitato anche un morto, fatto sta che da un certo momento in poi la serata ha preso un’altra piega. Non tecnicamente: la perfomance è stata perfetta fin dalla primissima nota. E’ cambiato il feeling tra lui (e quindi tutta la band) e noi. I brani, uno dietro l’altro, senza tempo di respirare, tra mille cambi di strumenti, portano tutti in una dimensione di euforia e inquietudine. At Least That’s What You Said ti fa pensare di non aver mai ascoltato niente di più bello e perfetto, e i (circa) dieci minuti di assolo finale sono insieme rapimento e liberazione. Di seguito Hummingbird, struggente nella sua semplicità, con Nels Cline che con la chitarra sostituisce i violini, trasformando la malinconia degli archi in una porzione di poesia elettrica. Poi Tweedy ci racconta sinteticamente proprio quell’inferno e paradiso che è il suo goddamn job, ci urla che “Rock’n’roll is part of the cure!!” e ci costringe alla terapia, incitandoci a urlare ripetutamente con tutto il fiato che abbiamo e cercando da qualche parte dentro di noi il nostro microfono interiore. Ormai tra band e pubblico il fluido chimico di musica ed emozione scorre generoso in entrambi i sensi.
I Wilco ripescano anche dal loro passato, ma è netta la predominanza in scaletta dei brani degli ultimi due album, forse perché sono quelli incisi con la formazione che si esibisce stasera. La band appare unitissima, in perfetta sintonia; va da sé che la personalità di Tweedy si staglia su tutte, ma va anche detto che ogni componente (ovviamente con gradi diversi) ha modo e spazio per affermare la propria individualità, chi lanciandosi divertito in buffe movenze da rockstar consumata (come il multi-strumentista Pat Sansone), chi rubando letteralmente la scena a chiunque altro con performance soliste che tolgono il fiato (come il jazz guitarist Nels Cline), chi trascinando band e pubblico dietro di sé come lo strepitoso Glen Kotche che sa accarezzare o percuotere la sua batteria come forse nessun altro della sua generazione.
Un concerto dei Wilco (come e più dell’ascolto dei loro album) è un continuo andare e venire dall’inferno, con incursioni in dimensioni estatiche, improvvisi tonfi nel nero più nero e risalite psichedeliche verso la luce. Non c’è spazio per stati d’animo “flat”, non c’è neutralità, non c’è ombra di quieto vivere. Uno show per palati fini e stomaci robusti, per anime e corpi insaziabili che ne escono però con un piacevole senso di soddisfazione. E con il rafforzamento di una convinzione: la musica è (sarà) anche divertimento, impegno, protesta, terapia, piacere, comunicazione, condivisione. Ma è soprattutto bellezza.

Chiara Giani © Licence to Confuse, 2005