ritratti: nas

KING OF NEW YORK

Ci voleva Nas (al secolo Nasir Jones), il decano dell'hip hop con una coscienza, a mettere a cuccia qualsiasi emulo degli Eminem di periferia. In una sferzata che suona persino peggio di un anatema papale, piazzata nel suo disco del grande ritorno, Hip Hop is Dead, il rapper di Queensbridge condanna la paccottiglia messa in giro da colleghi senza gusto né morale. "Voi, nuovi rapper, il vostro linguaggio proprio non lo capisco, negri, potrei scrivere la vostra m***da se solo avessi tempo".
Hip Hop is Dead è l'esordio di Nas per la Def Jam, ma con il benestare della Columbia, la sua vecchia etichetta che con la Def Jam dividerà i proventi delle vendite.
E vorrà pure dire qualcosa nell'era in cui gli artisti più significativi sono costretti a fuggire dalle major e trovare rifugio alle indipendenti. "L'hip hop è morto", sentenzia Nas nel brano omonimo, una tirata senza pietà che ruba per la seconda volta nella sua carriera (la prima era stata per Thief's Theme) il riff che più rock non si può di In a Gadda-Da-Vida dello storico gruppo psichedelico Iron Butterfly. E per non sembrare qualcuno che spara a zero solo perché non ha di meglio da fare ci infila pure se stesso, che "ha servito la sua faccia alla promozione della Sony/centinaia di milioni/li ho aiutati a fare cassa".
Come dire, siamo (siete) serviti.

Non che, per quanto può contare, Jones si possa dichiarare fuori dai giochi. La disputa che Nas ha nutrito con il boss della Def Jam, Jay Z, dopo la morte violenta di Notorius B.I.G. per la conquista del titolo di imperatore della costa est è durata quasi dieci anni. In toni che di certo piacerebbero a un produttore di soap opera, Jay Z si scagliava contro la presunta ipocrisia del rivale, vantandosi persino di avergli soffiato la donna, da cui Nas aveva avuto un figlio. Tanto per gradire Jones lo ripagava con la stessa moneta, lanciandogli furiosi anatemi dai suoi dischi.
Ma come nelle favole i brutti anatroccoli sono diventati principini. E un anno fa è venuto il momento di dire basta. Nas è apparso allo spettacolo di Jay Z nel New Jersey (dal titolo più che programmatico: "Io dichiaro guerra"!) in cui i due hanno fatto pace con l'esplicito intento di riportare il rap newyorkese alla testa del mondo.

 

 

nas in versione "il corvo" sulla copertina
del nuovo album
hip hop is dead

 


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January 28, 2007
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musica

 

 

nas a cinque stelle già ai tempi di stillmatic (2001)

 

 

L'America è morta

Compito facile? Non ora, sembrerebbe. Se l'hip hop è morto non rimane, afferma Nas in una recente intervista a Pitchfork, che stare al gioco. Farsene dei soldoni. Questo da quando Tu Pac e B.I.G. se ne sono andati.
Non male per uno che da piccolo voleva diventare vigile del fuoco semplicemente perché il rosso dell'uniforme li faceva sembrare supereroi. Con Nas bisogna fare attenzione all'ironia e ai doppi sensi. Come in Who Killed it piazzata mica per altro nel bel mezzo del nuovo disco, la quale ci spiega tutto quanto, mettendo in scena un thriller da fare invidia a John Grisham con contorno di campionamenti da età del jazz. Se ci sforza di leggere tra le righe, il rap diventa una puttana guastata dall'attrazione per il vile denaro.
Il guaio è che Nas non canta il funerale a un pezzo di storia della musica, ma a un paese intero. "Quando dico che l'"hip hop è morto" quello che intendo è che l'America è morta", ha precisato il musicista riguardo al polemicissimo titolo. "Non c'è una voce politica. La musica è morta. Il nostro modo di pensare è morto, l'economia è morta. Tutta la società è arrivata a un punto morto. Ecco dove siamo, come paese".
Più apocalittico di Walt Whitman, si direbbe. Un imponente sample dalla colonna sonora de Il Padrino II struttura Black Republican, drammatica riflessione sull'invidia e l'orgoglio.
Eppure sotto la dura scorza, si cela un'insolita grazia. Più magneticamente forte del suo straordinario esordio su Columbia, Illmatic, e più compatto dell'avveniristico Nostradamus, il nuovo disco parte rombando con le fanfare di una marcia classica per stemperarsi nella tenerezza del pianoforte di Not Going Back, che ospita la voce della rapper Kelis, oggi sua moglie.
Eppure le rime di Nas risuonano persino più vigorose. Benchè gli adepti più severi dell'hip hop potrebbero scovarci una certa autoindulgenza, non è davvero così. La seconda parte del disco invoca Marvin Gaye e si permette persino un sample di Unforgettable di Nat King Cole. Stirpe divina, appunto. Insomma se siamo alla fine sarà una fine gloriosa. Still Dreaming, prodotta dal geniale Kanye West, va ancora più a fondo e ci ricorda come il trentatreenne rapper sia il degno rampollo di un musicista jazz, spingendo il sogno dentro un liquido amniotico.
Muscoloso ma soffice Hip Hop is Dead sembra seguire i dettami della Kabalia l'antico libro egiziano della scienza ermetica che parla di equilibrio e del ritmo dell'universo. "Dice che tutto vibra e tutto si muove, costantemente. Non c'è niente che sia fermo. Mi sembra interessante".
E se Nas si muove, di continuo, l'hip hop anche.