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    11/09/2014
     
       
             
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musica + cinema + cultura

       
 
     
 

editoriale

 

"E' molto meglio fallire in originalità che trionfare con l'imitazione"

Herman Melville

 

Quando ho deciso di trasferire l'esperienza di Asap, la mia vecchia fanzine cartacea, su web, la prima domanda che corre per la tua testa è: come iniziare?
Come dare il via a un progetto come ce ne sono tanti senza rischiare di ricalcare il cammino dei tanti? Quali decisioni devono essere prese?
Credo che la risposta non venga dal taglio giornalistico, dalla perizia grafica o da ogni altra cosa del genere. La risposta viene esattamente là da dove vengono tutte le decisioni più sagge o folli che abbiamo mai preso: rispettare quello in cui credi.

Onestamente l'unico taglio editoriale che mi sento di dare è dire ciò che davvero si pensa, nel momento in cui lo si pensa. E, dove non è possibile, tacere.
"C'era un uomo in ascensore che sapeva esattamente quello che voleva" commenta Tom Hanks/Joe Fox nella commedia di Nora Ephron C'è Posta per Te.
Credo di sapere esattamente quello che voglio e onestamente non ha poi così tanta importanza se non sempre coincide con i desideri o le voglie di qualcun altro. Se così è, è comunque inevitabile che si ingeneri una contraddizione in termini.
Essere indipendenti porta con sé notevoli vantaggi ma anche un rovescio. L'autoreferenzialità. È il rischio in cui cade chiunque si voglia occupare oggi di cultura indipendente. Se, come sono convinta, il giornalismo non ha nulla a che fare con la registrazione a un tribunale, né con la tessera dell'ordine, non si può nemmeno dire che scrivere si riduca a starsene per ore dietro al computer sino a notte fonda. Se non c'è nessuno dall'altra parte, nessuno che ti legga, ti critichi, ti faccia sentire che c'è, allora non ha più senso. Se non c'è nessuno che senta il bisogno di dibattere, di trovare in quello che scrivi qualcosa da confutare, da negare, o da abbracciare tanto vale non scrivere niente.
Se rimaniamo a coltivare l'orticello convinti di "fare la cosa giusta" ma nessuno se ne accorge, abbiamo fallito. E' per questo che, se vogliamo davvero capire qualcosa di quello che ci sta attorno, dobbiamo aprirci al mondo di fuori. Quello che facciamo tutti i giorni non è meno importante dell'ultimo disco di Daniel Johnston e forse merita di essere indagato.
Giorni fa, durante il contenitore culturale di Radio Tre Fahrenheit, ho sentito un ascoltatore lamentare che ormai l'editoria pura non esiste più e, di conseguenza, è naturale che indagare certe questioni non interessi più a nessuno. I giornali, sosteneva, sono ormai la punta dell'iceberg di interessi più grandi di loro. Quando scorro le pagine di un quotidiano (pure con le dovute eccezioni) la mia sensazione è che non dica, a me personalmente, assolutamente nulla. Non dice nulla perché lì non ci sono io. Il quotidiano promuove ormai un sapere asettico che potrebbe valere per tutti e per nessuno.
Non mi sorprende che le esternazioni di Oriana Fallaci abbiano avuto tale richiamo da farle da traino per un poderoso rilancio in libreria. Se sia il contrario, che abbia scritto quello che ha scritto per produrre un traino in libreria, questo non lo so. Ma in fondo non importa poi più di tanto. Leggere, lo so, è un'arte. D'altra parte uno scritto è sudore e sangue e credo non gli basterebbe far bella mostra sullo schermo del vostro computer. Un tipo così reclama attenzione, coinvolgimento. Si legge per capire. Si legge per essere scossi nelle nostre convinzioni anche là dove sono più salde. Si legge, credo, per sapere. Ma la realtà è che, oggi, anche leggendo i quotidiani tutti i giorni, come un personaggio del nuovo film di Michael Moore sottolinea, "crediamo di sapere ma in realtà non sappiamo niente".
Non vorrei finire così. Credere di sapere, personalmente, non mi basta.
La chiave, forse, sta nel raccontare e indagare il nostro vissuto, e con la stessa curiosità e passione frugare in quello di altri, non importa se è una partita di pallone o i testi di Nick Cave.
Non possiamo pretendere, è ovvio, che il nostro vissuto sia l'unica chiave per leggere il mondo di fuori. Nel migliori dei casi sarà una testimonianza tanto parziale da poter essere discussa ma d'altro canto non così freddamente anonima da scivolare via.
Non faremo i paladini del diverso, ma neppure scriveremo tanto per fare. Del resto, se dilettantismo c'è, è quello di chi scrive non sapendo nemmeno su cosa, per quale ragione e per chi esattamente lo sta facendo. Non vorremmo diventare come uno di quei libri di cui, per dirla con Dickens, "il retro e la copertina sono le parti migliori".
E comunque ci affidiamo, fiduciosi, a chi ha ancora voglia di leggere.


Milena Ferrante © Licence to Confuse webzine, 2004-2014

 
           
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